Oltre “Triumphs and Laments”? Una dissolvenza creativa nel futuro di Piazza Tevere

di CARLO GASPARRINI

La straordinaria processione di William Kentridge, disegnata “per sottrazione” selettiva della patina biologica sul muraglione trasteverino tra Ponte Sisto e Ponte Mazzini, non è solo l’evento artistico più affascinante e coinvolgente realizzato nei 14 anni di vita dell’Associazione Tevereterno in questo spazio fluviale denominato Piazza Tevere.

La fertile triangolazione tra arte, spazio e società che si è realizzata in questo lasso di tempo, grazie all’incessante impulso di Kristin Jones – anche attraverso le sue visionarie opere site-specific, fra cui “She wolves” del 2005 – e con la partecipazione attiva dei fondatori e dei sostenitori dell’Associazione, è stata caratterizzata da una molteplicità di installazioni temporanee di artisti di tutto il mondo, performance musicali e teatrali, passeggiate, iniziative culturali con scuole e università, flash-mob, conferenze e workshop.

L’obiettivo, come sappiamo, è stato quello di cogliere la domanda di spazio pubblico che anche le sponde abbandonate del Tevere esprimono. Gli spazi pubblici sono luoghi dove singoli individui, gruppi e comunità si ritrovano. Sono anche luoghi dove la domanda di intimità convive con nuove relazioni e “legami caldi” che si creano mescolandosi, conoscendosi e ritrovandosi. Sono luoghi inclusivi e tolleranti dove il rispetto delle domande di ciascuno si coniuga con l’aspirazione di riconoscersi in valori più ampi e condivisi. In una fase storica in cui si rischia che gli egoismi e i muri prevalgano, gli spazi pubblici possono diventare i luoghi di una nuova civitas e di una rinnovata democrazia. Luoghi accoglienti in cui si confrontano culture, aspettative e sogni molto diversi, trasformando aree di proprietà pubblica in veri spazi pubblici.

L’arte pubblica immaginata per luoghi specifici come Piazza Tevere costituisce una eccellente occasione affinché questi “legami caldi” possano crearsi e consolidarsi. Il fregio monumentale di William Kentridge “Triumphs and Laments”, forse ancor più di tutti gli altri eventi di arte site-specific che abbiamo promosso negli ultimi 13 anni, è l’opera che ha saputo meglio interpretare questa domanda. La forza evocativa e simbolica dei trionfi e dei lamenti va aldilà di Roma e coinvolge tutte le città del pianeta e la loro storia.

La presenza di questo splendido “monumento effimero”, come qualcuno lo ha definito, va aldilà anche della sua progressiva cancellazione biologica delineando un evidente spartiacque tra il prima e il dopo l’atto creativo di Kentridge. Il suo valore va dunque oltre l’elevata potenza narrativa e l’inconfondibile cifra stilistica poiché ha permeato l’intero spazio pubblico fluviale di Piazza Tevere conferendogli una forza identitaria che sollecita una prospettiva di permanenza nel tempo.

Di fronte a questa modifica di senso del luogo appaiono perciò inadeguate entrambe le posizioni più ricorrenti nei confronti della scomparsa naturale dell’opera.

Da un lato c’è di chi si dispone in una posizione di sofferta partecipazione a questa lunga agonia, allietata soltanto da una sequenza di eventi organizzati per catturare fino all’ultimo le immagini sempre più labili del fregio, per confermare e rafforzare il suo significato rassegnandosi all’inesorabile perdita materiale del segno di un grande artista.

Dall’altro lato prende piede la posizione di chi auspica il restauro dell’opera, contrastando la riappropriazione della parete lapidea da parte di una microflora inarrestabile con una palese forzatura antistorica: chi mai penserebbe di cristallizzare un disegno sulla sabbia o sui vetri coperti di brina?

C’è una terza via tra il triste commiato e il fossile da cartolina. Confermare cioè nel tempo il significato attribuito a quella parete urbana riscrivendo o meglio sovrascrivendo ciclicamente la rappresentazione dell’eterno confronto fra trionfi e lamenti all’approssimarsi di ogni sua sparizione. Una scrittura dinamica dunque che rinnova continuamente il proprio linguaggio, confermando al contempo il senso e il valore dell’originario atto creativo e ridando ad esso linfa vitale. Al lento movimento della sua sparizione si affiancherebbe quindi la parallela ideazione di un nuovo fregio che trasformerà l’evanescenza in una dissolvenza creativa affidata ad una successione temporale di nuove interpretazioni. Se si accetta questa idea di permanenza del tema, non possiamo quindi solo affidarla alla memoria di un’opera che ben presto scomparirà, ma ad una più ambiziosa programmazione incessante di riscrittura che ripensi nel tempo il significato della processione di T&L.

Questa dinamica sparizione/sovrascrittura diviene peraltro metafora della città e della sua storia di lunga durata. Anche la città infatti conosce ciclicamente una dissolvenza da una forma a un’altra, conservando e confermando però le tracce di un sostrato a cui si sovrappongono e accostano nuove forme mantenendo tuttavia il riconoscimento di essere città-palinsesto. Sarebbe così anche per l’opera di Kentridge destinata felicemente ad essere il poetico atto inaugurale di un processo creativo più complesso, scritto da molteplici mani, sicuramente diverse nello stile e nelle intenzioni, ma comunque convergenti nell’impresa collettiva di raccontare il confronto tra trionfi e lamenti dei popoli.

Gli atti creativi che si succederanno ogni 4-5 anni – il presumibile tempo cioè della ricomparsa della patina biologica sul travertino pulito – saranno intervallati da eventi di “celebrazione costruttiva” dell’opera realizzata e, contestualmente, da azioni di riprogettazione del successivo disegno: più densi i primi negli anni immediatamente seguenti al nuovo fregio, più dense le seconde all’approssimarsi della sua scomparsa.

La successiva opera – che continuerà ad utilizzare la tecnica della sottrazione selettiva della patina biologica, inaugurata da Kristin Jones in “She-wolves” molti anni fa – non sarà un gesto improvviso e inaspettato, ma sarà preparata negli anni e vivrà virtualmente e in potenza nei bozzetti, nelle prove tecniche, nei seminari, nei workshop e nei processi comunicativi, coinvolgendo una platea auspicabilmente più ampia di quanto avvenuto in passato.

Il tempo “giusto” tra la materializzazione di un’opera e la successiva non potrà certo essere troppo breve perché non possiamo pensare di sovrascrivere un disegno ancora chiaramente leggibile. Ma non possiamo nemmeno immaginare che sia troppo aldilà della sua scomparsa, se vogliamo tener vivo il tema permanente di T&L che affideremo all’azione immaginifica degli artisti che verranno.

Il lungo fregio di 500 metri, su cui le immagini si succederanno materialmente e virtualmente nei prossimi decenni (e forse più?), diverrà così come una monumentale “Colonna Traiana” srotolata sul muraglione, ma non sarà un racconto cristallizzato, marmoreo e sempre uguale a sé stesso. Piuttosto sarà un racconto contemporaneo in cui la dinamica dello scomparire e quella dell’imprimere nuovamente si susseguiranno, sovrapponendosi prima virtualmente e poi fisicamente alla scomparsa materiale dell’opera esistente.

Negli anni, questa ciclica dissolvenza creativa ci apparirà come una inusuale sequenza cinematografica, lenta ma sussultoria, fatta di bozzetti, icone, episodi espressivi, evocazioni e provocazioni, movimenti, sovrapposizioni e slittamenti che si appoggeranno idealmente a quelli preesistenti reinventando in modo incessante il quadro dei protagonisti e dei comprimari del confronto tra trionfi e lamenti.

Quale sia la soglia materiale e temporale per avviare le operazioni di riscrittura sarà sicuramente argomento di valutazione attenta e rispettosa del lavoro di ciascun artista.

La parete del muraglione sulla riva destra, tra Ponte Sisto e Ponte Mazzini, rappresenterà, per un tempo auspicabilmente lungo, lo schermo sensibile su cui imprimere un palinsesto evanescente dove la città, non solo Roma, saprà raccontare sé stessa.

Questo obiettivo deve divenire un impegno collettivo e condiviso, di grande importanza simbolica, anche avvalendosi della guida di un comitato scientifico di elevata qualità e di un’intesa chiara e forte tra Tevereterno, il Comune e le principali istituzioni culturali della città. In tal senso William Kentridge dovrà auspicabilmente costituire, assieme a Kristin Jones, il riferimento imprescindibile per l’avvio di questa nuova fase.

Gennaio 2018

Approvato dal Consiglio Direttivo di Tevereterno Onlus il 13 aprile 2018