Una grande e insolita “stanza” per l’arte contemporanea

di CARLO GASPARRINI

Il distacco della città dal fiume

Il fiume è diventato uno spazio urbano dismesso e una grande infrastruttura idraulica marginale nel cuore della città da cui la città è incredibilmente distante. In cui è scomparso un mondo di pratiche quotidiane che lo rendevano vivo, “grattate” dai muraglioni sabaudi. Come l’High Line di NYC prima della sua riqualificazione, questa infrastruttura è un pezzo di periferia nel cuore della città storica e deve perciò ridiventare un luogo urbano per tutti i cittadini.

Nuovi valori

Ma per fare questo è bene sapere che la conservazione dei valori storici ereditati può avvenire solo se c’è la costruzione di nuovi valori. In questo senso, anche nei luoghi altamente stratificati e simbolici, l’arte ha un valore propositivo, prefigurativo e proattivo. Questo è ancor più vero in un luogo che ha perso i propri valori e ha bisogno di conquistarne di nuovi per diventare una parte attiva e viva della città.

Site specific

L’arte contemporanea site specific propone due termini non scontati: site, cioè per un luogo, e specific, cioè per quello specifico luogo. Non un’opera tradizionale quindi, un quadro che può essere staccato dal muro e spostato altrove, che va bene un po’ ovunque perché è un bell’oggetto d’arredo. Ma un’installazione che è stata pensata per quel luogo specifico e ci aiuta a guardarlo con occhi nuovi, a valorizzarlo e a riappropriarcene.

Una grande e insolita “stanza” per l’arte contemporanea

In questo senso il tratto compreso tra ponte Sisto e ponte Mazzini, è una straordinaria e insolita stanza, grande come il Circo Massimo, con pareti che accolgono racconti in movimento come quello di Kentridge, un pavimento d’acqua che scorre e può accendersi per valorizzare il suo flusso, un tetto stellato attraversabile da raggi luminosi, uno spazio tridimensionale interpretabile dalla musica. Un luogo monumentale quindi che può proiettare il MAXXI e il MACRO sul Tevere.

Arte e spazio pubblico

La costruzione di un nuovo ciclo di vita fisico, d’uso e simbolico di uno spazio come luogo e spazio pubblico non nasce insomma dalla penna di un architetto o dal programma di un amministratore. Ma da un’energia vitale che si sprigiona dal basso, da chi quello spazio vuole viverlo. Se questa energia manca, gli spazi pubblici sono un fallimento e non vengono vissuti. Serve un sommovimento profondo che modifichi il modo di vedere e usare quello spazio e questo presuppone un’opera collettiva. In questo senso sono centrali l’arte contemporanea ed eventi come quelli immaginati dai tanti artisti coinvolti da Tevereterno negli anni scorsi e oggi da Kentridge.

Molta flessibilità e poche opere pubbliche

Non si tratta cioè di pensare a grandi opere di trasformazione che poi vanno in rovina o vengono rifiutate dalla gente, ma di immaginare usi temporanei e contemporanei qualificati durante tutto l’anno. E non bisogna neanche farsi prendere dall’ansia di “riempire il vuoto” perché c’è già il grande “pieno” del contesto in cui si colloca quello spazio. Bisogna rispettarlo e valorizzarlo come si rispetta una piazza storica, Piazza Tevere appunto, un charged void e cioè un vuoto “carico” come direbbero Alison e Peter Smithson. Questa grande stanza non ha bisogno da essere ingombrata di oggetti inutili e posticci per attività che si svolgono molto meglio nelle strade di Trastevere o di Campo Marzio. Quel vuoto va riempito di magia, di immaginazione, di luce, di movimento, di musica che lo facciano vivere di nuova vita. E nel quale l’arte possa convivere con le azioni quotidiane di tutti i cittadini (di Roma e del mondo) negli spazi pubblici: camminare, stare assieme, pedalare, navigare sull’acqua e nelle reti virtuali, 24 ore al giorno.

6 agosto 2014

Didascalia immagine:

“New Master Plan for the City of Rome (2005), Comune di Roma, Dipartimento VI, Politiche Programmazione Pianificazione del Territorio”